Il fiume sono io by Alessandro Tasinato

Il fiume sono io by Alessandro Tasinato

autore:Alessandro Tasinato [Tasinato, Alessandro]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Tasinato;Valdastico;inquinamento;fiume;Rabiosa;Chiampo-Arzignano;Bottega Errante;ambiente;disastro ambientale;Veneto;Bettin
editore: Bottega Errante Edizioni
pubblicato: 2018-01-31T07:56:05+00:00


15

Cascammo per terra. Come se un black out avesse interrotto la centrifuga a cui eravamo aggrappati. E Anna... Anna aveva addosso l’espressione dei bambini che scendono dall’ottovolante al lunapark.

«Venga, venga da questa parte» le disse indirizzandola dietro un paravento. Ne uscì coi piedi infilati in un paio di ciabatte usa e getta di nylon. A gambe nude, impacciata, tremante. La fece salire sulla bilancia – («Quarantotto chili per un metro e cinquantacinque di altezza.... Mmhhh, lei è una brevilinea, bambina mia!») – e intanto le faceva mille domande per smorzarle un po’ la tensione. Le chiese che lavoro facesse e non smise di incensare l’importanza degli insegnanti nel gettare le basi delle future generazioni «di questo Paese» volle specificare «governato dagli ignoranti».

«Ah, sapeste!» aggiunse a proposito degli ignoranti. «Da quando hanno messo a capo della mia ASL un ex direttore delle autostrade ho dovuto scapparmene via! Ma stiamo scherzando! Che adesso l’ospedale è trattato come un’autostrada! Cosa sono diventati i reparti, degli autogrill? E le sale operatorie, cosa sono diventate le sale operatorie, delle piazzole di sosta? E i medici? Cosa sono diventati i medici, dei casellanti che ritirano i ticket ai pedaggi? Mio Dio! Mio Dio!». E si era messa nuovamente a nitrire.

Le ordinò di mettere i piedi su uno sgabello, di salire sopra un lettino e di poggiare le gambe al divaricatore. Anna divenne rossa come un pomodoro. La ginecologa ne regolò le staffe e avvicinò una consolle su cui troneggiava uno schermo. Digitò un codice sulla tastiera e dopo una carrellata di maschere lo schermo si stabilizzò su una forma a tronco di cono. Era di un grigio zigrinato tipo quello delle tv di una volta quando perdevano il segnale. Impugnò una sonda, la avvolse in una pellicola, le spalmò sopra del gel e fece per infilare quella specie di pèrtega dentro di Lei.

Adesso il tacco si spezza e lei cade, ripresi a dire dentro di me tornando a fissare i suoi stupidi zoccoli. Adesso il tacco si spezza e lei cade, mi ripetevo indignato. E Anna? Anna assisteva supina, il rossore le bruciava le guance e a un certo punto si mise a ridere. Sì, a ridere. E rideva, rideva! Rideva in quel modo sciocco che non esprime divertimento bensì una forma di subordinazione, di reverenza, di servilità. Tipico di chi accetta passivamente la pèrtega, di chi si è assuefatto a stare sotto paròn.

«Venga un po’ più avanti, bambina mia» disse la ginecologa. Il tono si era fatto calmo, fermo, professionale. «Adesso spinga. Brava. Brava. Bravissima. No, non con tutta questa pressione per cortesia, altrimenti mi rompe la sonda e va a finire che le rimane incastrata!».

Anna trattenne il respiro e poi si mise a squittire con degli «Ahi!», «Ohi!», «Uhi!» che sgomitavano tra le risatine tutte eccitate.

«Ma cosa fa?» la rimproverò. «Lei ha una specie di movimento prensile dentro. Una specie di strizzacazzi! Ecco, brava, rida, rida ancora… così almeno si detensiona!».

Il tronco di cono si abitò di un movimento viscoso. Qualcosa di simile avevo



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